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35 ANNI DI STORIA DEL
GRUPPO CANOE ROMA
Persone accreditate dicono che sia buona regola chiedersi su quale terreno poggi Atlante, il gigante mitologico che reggeva il mondo, anche se sembra che gli antichi, pieni di fantasia, non avessero risposta a questo interrogativo. Ad ogni modo io per quanto riguarda le origini delle origini del GCR posso ricordare che a Roma prima di lui esisterono dei canoisti che praticavano fiumi con imbarcazioni in vetroresina, ma furono estremamente pochi, forse meno delle dita di una mano, e soprattutto non diedero luogo ad un club. Tra di essi ricordo Marcello Tilli della Tirrenia Todaro, la cui figlia Monica, canoista lei pure, ebbe diversi contatti con il GCR. Erano gli anni in cui il “faro” della canoa turistica-amatoriale era Guglielmo Granacci.
La prima uscita in assoluto del GCR, effettuata da Mario Anniballi, il sottoscritto Gianfranco Loffredo, Domenico (Mimmo) Noviello ed Andrea Lucarelli (tutti romani) sul fiume Turano, a monte del lago omonimo, in provincia di Rieti il giorno 4 novembre 1976 venne raccontata in ogni incredibile tragicomico ma assolutamente veritiero particolare da me sulla storica rivista “Fiumi”, diretta ed edita a Milano dal cavalier Guglielmo Granacci, figura di primaria importanza per le funzioni di promozione del canoismo italiano dalle Alpi alla Sicilia. Qui, in caso non sia stato in quella sede precisato, voglio ricordare come prima di essa Anniballi avesse avuto qualche contatto canoistico in Italia settentrionale con Granacci stesso; Loffredo (classe 1940, coetaneo di Anniballi) avesse da molto giovane praticato in mare, come suo padre, il sandolino napoletano, imbarcazione ormai scomparsa, per poi vagare da solo, si usava dire come cane sciolto, in Emilia sul Reno e sul Po; Noviello e Lucarelli (studenti universitari classe 1957) avessero avuto un contatto con l’anziano Ongaro, simpatico canoista fluviale di Orvieto, sicuramente tra i primissimi dell’Italia centrale.
Ad ogni modo la catastrofica uscita sul Turano preceduta peraltro in sede di partenza, a casa di Anniballi, dall’ascolto della enfatica “Wellington’s Sieg” Op. 91 di Beethoven (Sinfonia della Battaglia che a buon titolo si potrebbe assumere come immutabile sinfonia del GCR), fu compiuta esplicitamente nello spirito e con la determinazione dell’inizio di un nuovo sodalizio sportivo cui si voleva dar vita seguendo l’incoraggiamento di Granacci ed in adesione alla Federazione Italiana di Canoa Fluviale.
Le imbarcazioni usate furono per Anniballi uno slalom comprato in Italia settentrionale, per Loffredo uno slalom cecoslovacco comprato a Tarvisio, per Noviello e Lucarelli due kayak da discesa comprate usate di sicura origine settentrionale, perché allora costruttori in Italia centrale e meridionale non ne esistevano.
Nell’immediato seguito il Gruppo Canoe Roma, perché questo fu il nome che da subito venne scelto e poi sempre conservato, praticò (li si riporta in successione il più fedele possibile) il Tevere da Pontecuti al Lago di Corbara, il Paglia da Ponte Gregoriano ad Allerona (più tardi anche da Allerona a Baschi) e il Nera da Terria ad Arrone. Successivamente su questo fiume ci furono contatti con Bifolchetti, particolarissimo canoista ternano che guidava il nascente club locale e che incontrammo anche al raduno di Chienes del quale si parla nel seguito.
L’entusiasmo di quelle uscite era notevolissimo, perché l’happening dei torrenti ci avvinceva, e navigavamo in minimo drappello con una grande tensione per il fatto che disponevamo di pochissima tecnica, non conoscevamo i corsi d’acqua che praticavamo e nessuno ci accompagnava.
I kayak che allora venivano usati su quei fiumi erano per lo più degli slalom di quattro metri, ma anche delle discese (alcune di queste a coda tronca), tutte imbarcazioni di resina poliestere rinforzata con fibra di vetro, costruite dalla Moldresin ovvero dalla più affidabile e sofisticata ASA. I manufatti risultavano comunque molto fragili sulle rocce, ed i canoisti si portavano ai raduni resina, maleodorante catalizzatore, pennello, cartavetrata, fibra di vetro ed acetone per applicare toppe che poi venivano fatte indurire ai fuochi dei campeggi, come Granacci insegnava, ma non senza pericolo di indesiderati arrostimenti. In quelle occasioni i giovani ascoltavano i ricordi di Granacci, William per gli amici, che narrava spesso delle sue discese del Po con prolungamento fino a Venezia, compiute con le famose smontabili Klepper tedesche, di tela gommata (la “pelle”) armata a forzare per mezzo di un’armatura di legni scelti e particolari di ottone, che venivano trasportate smontate in treno ed anche in aereo.
Le pagaie da noi usate erano le ottime Azzali nazionali, costruite con varie essenze legnose, con le pale bordate di alluminio, molto gradevoli nella presa sullo stelo ma molto fragili sulle rocce, che venivano esse stesse riparate con pezze di vetroresina. I salvagente e i gonnellini erano ammirabile prodotto artigianale dei Lafisca, marito e moglie ottimi canoisti di Milano, lui purtroppo venuto a mancare molto giovane, ma non del suo sport..
Il proselitismo per il GCR in quei primi anni era molto lento e difficile. Oltre ai fedelissimi quattro fondatori ricordo tra i primissimi adepti Armando Occhipinti e Spoletini.
Tappa miliare del GCR fu la partecipazione al raduno estivo che Granacci organizzava annualmente a Chienes, in provincia di Bolzano, con navigazione dei fiumi Gadera, Rienza, Isarco ed Aurino, tanto più pieni d’acqua e impetuosi, per i romani, di quanto non lo fossero i fiumi appenninici. Ogni volta che i romani partecipavano a raduni con buona affluenza di settentrionali ne beneficiavano molto, perché in Italia centrale il canoismo esprimeva solo i suoi primi vagiti. Fu in quell’occasione che in un pugno di giornate piovosissime, sofferte quando non si pagaiava sotto tenda, conoscemmo canoisti come Luchetti genovese, Umberto Monti ingegnere milanese di Pavia, Giannetto, Sergio Garattoni ambedue milanesi, Arcangelo Pirovano cremonese di Casalmaggiore (pittoresco “Gengis Kan” allora luogotenente di William, destinato ad una molto importante carriera canoistica), Gianturco, medico di Castelfranco Veneto, che guidava un gruppo della sua regione e Valter Fochi di Cuneo.
Desidero qui anche ricordare il modo calmo ed accorto di pagaiare di William non lontano dalla sessantina, che ci precedeva, si fermava nei punti difficili, ci stoppava tenendo la pagaia verticale e poi ci indicava i passaggi opportuni. Ed era anche un ottimo fotografo, e dalla sua Rolleiflex uscivano foto che ci ritraevano e che poi pubblicava sulla rivista “Fiumi” o sul suo testo inimitato “Guida ai fiumi d’Italia”. Aveva conosciuto i fiumi italiani di tutte le latitudini e si impegnava per sua libera scelta (avendone anche la possibilità) a insegnare a navigarli ai ragazzi di tutte le latitudini, senza distinzioni di sorta. Era indubitabilmente la persona giusta al posto giusto, e riceveva molto rispetto.
All’incirca dopo il raduno di Chienes Anniballi, che aveva capeggiato ed animato il Gruppo romano, con nostro dispiacere dovette lasciarci per trasferirsi negli Stati Uniti per ragioni di lavoro. Lo salutammo calorosamente ripensando alle intense emozioni che, sia pure in un breve volgere di mesi, ci avevano accomunato.
Successivamente riuscitissimo fu il raduno di Granacci nella pittoresca, storica Pitigliano, per percorrere con lui e con altri canoisti dell’Italia centrale il Fiora, dove fummo mitragliati da una formidabile grandinata. William chiamò pure ad acculturarci sulla storia e l’arte locale un erudito pitiglianese. Fu probabilmente in quell’occasione che si fece conoscenza con Enzo Silvestro, medico, credo siciliano di origine, canoista del Club di Grosseto, tanto abile con la pagaia, tanto bruno di capelli, che, generoso padre adottivo del biondissimo Rocco, fu in seguito vittima della sua passione per il nostro sport sul fiume Chiusella, in Piemonte.
Altrettanto riusciti, sempre con Granacci, furono un raduno-gara sul Sentino ed un raduno sui fiumi delle Marche Candigliano, Burano e Bosso, che ebbe luogo in una luminosissima settimana di primavera, tanto più apprezzata in quanto seguiva un lungo periodo piovoso. Non di rado a questi incontri partecipavano stranieri, in particolare tedeschi, che avevano conosciuto Granacci diversi anni prima, anche all’estero, e che lo rivedevano con comprensibile piacere ed affezione.
Ricorrentemente William nei suoi passaggi da Roma, ovvero nei raduni altrove, ci proiettava i suoi graziosissimi filmetti canoistisi in superotto, vere irripetibili testimonianze di uno sport, di un’epoca e di un costume, ed anche dell’abilità e della pazienza dell’operatore, e questa documentazione contribuiva a farci sentire affiatati e partecipi di un’unica, allora poco numerosa famiglia sportiva. Egli insisteva anche tanto su tutte le buone regole di prevenzione degli incidenti, con riferimento al corredo del canoista, al caricamento sulle auto, ai pericoli dei fiumi e delle altre acque, ai comportamenti responsabili.
Storico e tanto ricordato dai romani fu anche il raduno sui fiumi del Piemonte,
nei pressi di Mondovì, in provincia di Cuneo, cui partecipò la famiglia Granacci
al completo, con William, moglie e figlio, Veniero, buon canoista come il padre.
Presente fu anche Gengis. Granacci sulla sua Opel Kadett caravan montava un
portacanoe di sua progettazione, che consentiva un caricamento dei kayak su due
piani sovrapposti: un vero spettacolo.
Si navigarono in quell’occasione lo Stura di Demonte ed il Gesso, dalle larghe
sponde ciottolose, in bellissime giornate di primavera, mentre dai campi emanava
una pace ampia, luminosa e silenziosa. Ricordo come ad un certo punto,
assolutamente spontanea e contemporanea uscì da Granacci e da me l’osservazione
di quanto bella e pacifica era la natura e di quanto dubitabile era
l’atteggiamento degli uomini che in città si accanivano a inseguire chissà quali
presunti successi. In quell’occasione lui organizzò persino un’interessantissima
visita ad una vicina fonderia. Alla fine si banchettò all’aperto, su una
tavolata di fortuna realizzata con assi e legni trovati nel luogo, e si mangiò
costolette di maiale arrostite a fianco della mensa, condite con vino bianco e
diversi coretti. Arcangelo però corse un bel rischio per aver ingollato troppo
in fretta una bevanda fredda, ma volle cavarsela senza chiedere aiuto a nessuno.
Verso il 1979 cominciò il piacevolissimo contatto dei canoisti romani con alcuni canoisti sublacensi, tra i quali in primo luogo Daniele Mariano, che diede luogo al Canoanium Club di Subiaco, vera simpaticissima costola del GCR, con il quale ci fu sempre un ottimo feeling.
Classica manifestazione sportiva di questo club fu la discesa dell’Aniene, fiume di rilevanza storica che confluisce alla periferia di Roma nel Tevere, discesa effettuata da Subiaco ad Agosta ogni seconda domenica di maggio e per molti anni. Vi parteciparono contemporaneamente in discesa libera o in assetto di gara anche un centinaio di canoe di diversi club dell’Italia centrale sorti velocemente nel frattempo; venne pure realizzato e praticato un percorso di slalom, ed il comune di Subiaco contribuiva con ricco rinfresco a base di dolcetti locali e con la banda musicale.
L’Aniene fu percorso anche a monte di Subiaco, da Jenne a San Benedetto, e su questa spumeggiante tratta i ragazzi dei due club, romano e sublacense, collaborarono lungamente e appassionatamente per frantumare con un grossissimo scalpello d’acciaio un masso che costringeva ad un disagevole trasbordo.
Verso questo periodo cominciarono a frequentare il GCR anche Dino, fratello minore di Mimmo Noviello, Marco Spada, Gianni Russo (che si doveva dimostrare canoista di tante iniziative e di lungo corso), Marco Digianbattista, Marco Lucarelli fratello di Andrea e Carlo Belfiore.
Le prime uscite sul mare vennero effettuate con delle doppie in realtà poco marine come linee d’acqua, senza timone e con prua bassa, e consisterono in traversate da Gaeta a Sperlonga e nel giro dell’Argentario.
Un fiume minore, il Corno, tributario del Nera, fu apprezzato per la sua stretta gola, tanto suggestiva, ed il lago di Piediluco nella vicina piana di Rieti, servì sia per esercitarsi su un grosso rullo del suo affluente, sia per distensive uscite familiari con le doppie.
Altra serie di fiumi praticati nel basso Lazio fu quella del Gari, del Liri e del Garigliano, mentre nella Campania praticammo il Volturno, con amichevoli contatti con il Club di Cassino, del quale faceva parte l’ottimo Capitanio.
In Abruzzo i ragazzi del GCR percorsero da principio il Sangro (ricordiamo di averlo navigato in una freddissima giornata d’ inverno, mentre emetteva vapori che lambivano le stallattiti di ghiaccio pendenti dai cespugli, e di essere entrati nel lago di Villetta Barrea aprendoci con le pagaie un lungo varco nello spesso ghiaccio che lo ricopriva) ed il Salto (navigato in prima).
Con il tempo la cerchia degli affiliati del GCR si era andata allargando, sia pure lentamente, e del GCR erano entrati a far parte canoisti che ne dovevano caratterizzare e incrementare notevolmente l'attività, come Giorgio Carbonara, che divenne attivo presidente del GCR, con il figlio Stefano, Andrea Tesini con i figli Carla e Marco, Umberto Carbonelli e tanti altri, come Enzo Carlesi (“il Colonnello”), Liborio Borsellino, Manuela Volpes, Mario (l’Avvocato) e Gabriella Marini, Roberto Trovato, Luigi Moretti, Giuseppe Spinelli (destinato, dopo anni, a raccogliere generosamente e validamente l’eredità di chi lo aveva preceduto), Gianni Montagner (che negli anni doveva dar luogo a tante iniziative), Maurizio Perini, Fulvio Capaldo e Salvatore Pala.
Veramente determinante a questo punto per lo sviluppo del GCR fu la partecipazione di numerosi affiliati al sodalizio, incoraggiati specialmente da Carbonara, alla scuola di canoa che Bernasconi teneva sul Sesia, presso Varallo, con campeggio sul Baraggiolo, incredibile, pittoresco isolotto circondato dalle correnti che, popolato da tende e kayak di tanti canoisti delle più varie provenienze, sembrava un’Isola della Tortuga. La tecnica canoistica dei romani ne beneficiò molto, e furono percorsi anche i vicini, impegnativi Sermenza e Mastellone. Anche in questa occasione le norme di sicurezza vennero decisamente ripetute e ribadite.
Si partecipò diverse volte anche al raduno sul Santerno in provincia di Imola, classica, freddissima invernale appenninica, che a Marzo tipicamente rappresentava l’apertura della stagione “estiva”; secondo me una specie di atto di fede adatto specialmente ai tipi calorosi.
Il GCR istituì in questo periodo con grande impegno anche una Vogalonga che si svolse per numerosi anni sul lago di Bracciano, in provincia di Roma. Si partiva da Trevignano ed il lago veniva percorso costa costa in senso antiorario; quando si correva in gara (e mi ricordo una faticata incredibile nella doppia con l’ ”avvocato” Mario Marini) venivano anche posizionati dei punti di controllo che bisognava aggirare. L’affluenza non di rado raggiunse e superò il centinaio di canoe. Tra gli altri laghi praticati ricordo il lago del Turano, il lago Trasimeno e la laguna di Orbetello.
Specialmente sui laghi e sui fiumi facili si ebbero frequenti affiancamenti con il gruppo di canoe canadesi in resina ed in alluminio che faceva capo a Marsili, nonché con il gruppo di kayak e canoe che faceva capo a Francesco Bartolozzi, storico ideatore e per numerosi anni conduttore della bellissima discesa del Tevere da Città di Castello a Roma, della durata di circa otto giorni, frequentata da diversi ragazzi del GCR, che comportava un grande impegno organizzativo ed alla quale Francesco seppe così bene imprimere un particolare carattere anticonsumistico ed ecologico.
Nel frattempo l’attrezzatura canoistica ed anche la disponibilità, per i giovani canoisti, di ottimi mezzi di trasporto era migliorata. Superate la fibra di vetro e la resina poliestere, troppo fragili, si era proceduto verso altre fibre come persino il Kevlar, ed altre resine come l’epossidica, ottenendo manufatti molto più solidi all’abrasione ed agli urti sulle rocce. Il passo successivo verso il polietilene fu breve, e ne beneficarono anche le pale delle pagaie. All’insieme di questa evoluzione dell’attrezzatura corrispose tutta un’evoluzione delle capacità tecniche dei canoisti che tra l’altro, in specifici razionali corsi organizzati dal GCR anche in piscina cominciarono a eschimare. I più bravi, tra i quali Rino Borsellino, eschimavano con diverse tecniche, sulla destra e sulla sinistra, anche con le sole mani, senza pagaia.
Furono poi parecchio praticati i fiumi abruzzesi che sversano nell’Adriatico, come l’Aventino (impegnativo) e l’Aterno, il Pescara (bellissime nel mio ricordo le sue sorgenti incontaminate) ed il Tirino (particolarmente idilliaco), l’Orta ed il Vomano, ma si arrivò anche più a nord in provincia di Grosseto sul pacifico Ombrone, in provincia di Rimini sul Marecchia (lo ricordo durante una specie di tormenta, con le sponde coperte di neve), in provincia di Trento sull’effervescente Noce, ovvero molto più a sud, in provincia di Cosenza sull’impegnativo e pittoresco Lao.
Come in tanti club che durano e si ingrandiscono finiscono per crearsi delle sezioni specializzate, così nel GCR nel rispetto delle origini e perdurando lo spirito di appartenenza vennero con il tempo a diversificarsi dei settori di attività particolari, tra i quali il gruppo più istituzionalizzato fu quello della Canoa Polo, che capeggiato con grande passione da Gianni Russo raggiunse in breve tempo importanti risultati a livello nazionale.
Altro notevole gruppo fu quello dei “Gladiatori”, del quale fecero parte i giovani tecnicamente più preparati ed entusiasti, tra i quali Stefano Carbonara, Roberto Trovato, Piero Aceto, Pietro e Giovanni Dell'Oglio che andavano sui fiumi troppo impegnativi per noi non più giovani, e che organizzarono e condussero a buon fine una coraggiosa spedizione sull’Urubamba, difficilissimo fiume del Perù. Roberto per amara ironia della sorte scomparve in seguito sullo stesso fiume del Piemonte, il Chiusella, e nello stesso specchio d’acqua nel quale era scomparso Enzo Silvestro.
Infine, e all’opposto dei Gladiatori, ricordiamo quelli della “Canoa Pacioccona”, che andavano piano e prendevano la pillola per l’ipertensione, tra i quali un certo Andrea.
In questo periodo nel GCR comparvero i primi kayak da mare, lunghi in genere oltre i cinque metri, e numerose doppie con timone. La stagione marina del GCR di quegli anni fu bellissima. Ricordo un’uscita di prova dei “marini” alle foci dell’Astura, nel basso Lazio, presso la Torre che prende il nome dal fiume, dove fu imprigionato a tradimento Corradino di Svevia, in una giornata ventosa e fredda. Mariella Spada, che accompagnava il marito, piena di buon senso femminile, rideva perché Luigi Moretti voleva assolutamente provare “la formazione”, ossia la disposizione dei kayak in marcia, così come preconizzata da un testo di kayak da mare, come se avessimo dovuto attaccare chissà chi.
Ricordo le stupende impegnative gite ottimamente organizzate da Carbonara e Tesini nell’Arcipelago Pontino, a Procida e Ischia (con l’utilissima collaborazione del Club napoletano capeggiato da Ferretti), Ventotene e Ponza, nonché all’Argentario e all’Uccellina, e nell’Arcipelago Toscano, all’Elba ed al Giglio. Navigare in acqua salata, in sincerità tanto più pulita di quella di tanti torrenti, con il dondolio delle onde o con il divertimento dei frangenti, godersi lo spettacolo dei costoni calcarei o vulcanici pieni di ginestre fiorite e sentirne il forte profumo portato dal vento era vivere intensamente. Spesso il simpaticissimo accompagnamento delle famiglie e i grandi convivi mediterranei conditi da tanto buon umore ed anche da buon vino facevano il resto.
Sul mare il GCR partecipò anche a manifestazioni di altri club, come la Vogalonga di Venezia, ed insieme alle tantissime imbarcazioni e agli equipaggi di tutti i generi partecipanti a quella manifestazione ancora mi ricordo gli affettuosi moccoli che mi mandò il Colonnello (Enzo Carlesi), mio compagno nella doppia, perché attardandomi a fare colazione in un bar (parto sempre solo a stomaco pieno) gli feci perdere lo spettacolo dell’ “alza remo” alla partenza. Gli risposi per le rime con un wafer canoistico, ma poi pagaiando fummo più amici di prima. Solo che lui, poveretto, si perse gli occhiali in un canale!
Tante associazioni di uomini (forse anche possiamo dire tutte) nascono, fioriscono e poi declinano. Il GCR non fece eccezioni, almeno per quanto riguardò la vecchia guardia, costituita dai più grandicelli, che nelle loro non più frequenti uscite cominciarono ad autodefinirsi “Terminali”. Più di recente la notizia della scomparsa di Granacci, al quale so di dovere tanto, mi colpì molto. Personalmente, ad ogni modo, qualche volta “intingo” ancora, e le rare volte che posso farlo insieme a Gengis, con il quale ho fatto bellissime discese sull’Adige e che tanto si è dedicato e si sta dedicando alla canoa, ne sono particolarmente contento.
Però noi vecchi canoisti romani sappiamo che il GCR esiste ancora, perché il testimone non è andato perduto, bensì è stato raccolto da tanti nuovi gagliardissimi giovani che di sicuro hanno lo stesso amore nostro per lo sport della canoa e per gli stessi fiumi, laghi e mari che noi praticammo e per tanti altri ancora: basta battere su Internet “gruppocanoeroma” e vedrete che popò di calendario canoistico scappa fuori!
Gianfranco Loffredo
Alla bellissima e intensa sintesi di Gianfranco posso solo aggiungere che dopo qualche anno di “stenti” in cui sembrava che tutto stesse per dissolversi, come spesso accade, una volta che i fondatori si allontanano, la ferrea volontà di Gianni Montagner e quella di Roberto De Ascentiis hanno fatto risorgere il GCR, che ha trovato anche nel “giovane” Maurizio Consalvi lo spirito dell’anima fluviale dei primordi. Gli anni dopo il duemila sono stati anni di crescita e di attività a tutto tondo in cui hanno trovato spazio le varie anime della canoa, con un folto gruppo di Fluviali, di Marini e di Polisti, questi ultimi dapprima un po’ in disparte hanno successivamente fatto sentire la loro voce sempre più integrandosi nel Gruppo. Recentemente il Gruppo Canoe Roma ha dato origine, per volontà dei loro fondatori, a ulteriori Associazioni operanti nel territorio romano e laziale, ma che ben venga se questo serve a diffondere la passione e la voglia di andare in Canoa! Vorrei citare la competenza di Valentino Romano, Antonio Paolucci, Claudio Allevi, Renato Bacci, Bruno De Vicariis e tutti gli altri mi perdonino la semplificazione solo per concludere dicendo che a distanza di 35 ANNI il mitico GRUPPO CANOE ROMA è più vivo che mai!
Giuseppe Spinelli (vostro Presidente)
Roma Novembre 2011