www.gruppocanoeroma.itLa nostra "Storia"


Cronaca della prima discesa in canoa effettuata
il 4 Novembre 1976 dal Gruppo Canoe Roma

Tratto dal n° 10 del 1986 di "… sull’acqua …" il notiziario del GCR

 

Sotto la pioggia battente, caricammo le quattro canoe sul mio Maggiolino Wolkswagen. Partimmo quindi alla volta di Paganico Sabino, in Provincia di Rieti, per discendere un tratto del fiume Turano ad una cinquantina di km da Roma.

Arrivati sul posto, sempre sotto la pioggia battente, lasciammo il maggiolino ad una quindicina di metri dal fiume e scendemmo in acqua mentre Mario, il più esperto, ci toglieva, secondo lui, ogni timore di inadeguatezza alle circostanze, perché il fiume tirava proprio bene.

  Pareva  proprio  che dal cielo invisibili aerei ci mitragliassero a volontà perché sul kayak e sui caschi la pioggia tamburellava alla disperata, mentre le barchette filavano velocissime risucchiate dalla corrente, evitando miracolosamente massi paurosi. Poco dopo ci accorgemmo che il torrente aveva inondato gli approdi e lambiva le siepi circostanti. Diversi cespugli erano in realtà alberi semisommersi; in una curva stretta e veloce, con ritorno d'acqua, io fui sbattuto sotto e persi la pagaia. Mimmo generosamente corse a prenderla, e per allungarsi cadde in acqua anche lui.

Da questo momento in  poi la discesa si trasformò in un happening continuato e, mentre l'acqua scrosciava dal cielo, prese a somigliare sempre di più ad una tragedia.

Non appena con immensi sforzi si riusciva a recuperare chi era caduto e la relativa canoa, qualche altro cadeva e la storia ricominciava. Gli approdi sui cespugli spinosi senza possibilità di toccare il fondo  erano funambolici e penosissimi. Alcuni passaggi, normalmente  di terzo grado, erano notevolmente peggiorati, e per dei novellini le creste bianche che arrivavano alla faccia erano molto impegnative. lo, in particolare, per la corrente e la mancanza di approdi, restai in acqua, fluitato dal fiume per una trentina di minuti. Tutti per il recupero dei compagni, delle canoe e delle pagaie, facemmo sulle sponde centinaia di metri sprofondando nella terra bagnatissima, tra piantagioni   di bietole e di altri ortaggi.

Alla fine, dopo solo sette km di discesa, giungemmo al lago presso Paganico, dal quale dovevamo percorrere circa  mezzo km  per arrivare alla trattoria dove avremmo mangiato. Ancora oggi ricordiamo quei cinquecento metri di lago che, stanchissimi, percorremmo arrancando ed incoraggiandoci. Disgrazia volle che sbagliassimo l'approdo, e ci  toccò fare una ripidissima e sdrucciolevole salita con le adorate canoe. Entrati in trattoria,  sebbene stremati, ci gettammo come lupi su quattro fumanti  piatti di tagliatelle, felici che l'incubo fosse finito.

  Illusi! Poco dopo, con un passaggio del gestore, andammo, ormai all'oscuro, a recuperare il maggiolino.  Arrivati sul posto, trovammo sì il fiume, ma non il maggiolino, o meglio, il maggiolino risultò semisommerso alla distanza di una decina di metri da dove nel frattempo era arrivata l'acqua del fiume in piena.

Una trattrice non fu all'altezza di estrarlo, quindi si chiamò da Carsoli  un carro attrezzi che illuminando la scena con un faro recuperò il maggiolino con un cavo di acciaio. Sul carro, insieme al grondante maggiolino, alquanto scornatl e silenziosi, raggiungemmo il paese per prendere il treno per Roma, dato che la macchina doveva essere “soffiata" un tantinello a fondo anche nel motore che era stato completamente allagato.

Arrivati alla stazione, incredibile! c'era un tipico sciopero del treni a macchinista selvaggio, nessuna possibilità di raggiungere Roma fino all'Indomani mattina (e tutti dovevamo esserci per impegni vari).

Maledicendo I nostri antenati fino alla settima generazione cominciammo a vagare entro Carsoli sotto la pioggia battente, negli abiti ormai bagnatissimi, cercando un autobus, un mezzo cingolato, qualche carretto a cavallo o cammello di passaggio per raggiungere la capitale.

Impossibile trovare: a quella ora l'ultima corsa del pullman era già partita ... restava solo il treno che non partiva... Disperati Mimmo ed Andrea, dopo peripezie terribili per trovare gettoni, telefonarono ad alcuni amici del cuore che, ormai nella notte fonda, sarebbero stati comunque disposti a venirci a prendere da Roma. Gli amici erano a ballare.

Mai vinti ci mettemmo sotto una delicata ed interminabile pioggerella finale che entrava nelle ossa, ad andare verso il vicino casello dell'autostrada. Un'anima impietosita ci diede un passaggio, ma commise l'errore di scaricarci troppo vicino al casello, dove ciò era proibito. Dal casello uscì subito un milite della Polizia Stradale, decisissimo a multare il nostro soccorritore che  si accingeva a tornare indietro. Ci precipitammo da una parte a garantire che in caso avremmo pagato noi la multa, dall’altra a sedare un aspro diverbio tra soccorritore e milite, il quale ultimo, infine si lasciò convincere alla clemenza.

Dovemmo quindi allontanarci molto dal casello e cominciare  a mendicare, sotto una gentile pioggerella ed al fioco lume di un lampione, passaggi verso Roma.

Giove, che ci aveva perseguitato dall’alto per tutta la giornata, infine fu preso a compassione e ci sorrise benevolo. Un furgone si fermò ed il guidatore, sentito il caso, scese e ci  aprì gli sportelli posteriori per farci salire.

Dopo tanti imprevisti e smacchi, incredibilmente, alla vista di file di abbacchi scannati e sanguinanti e di pelli scuoiate ammonticchiate sul pavimento, fummo presi da un accesso di risa talmente insopprimibile che non sappiamo come riuscimmo a ringraziare il buon uomo.    Sedemmo sulle pelli e battendo i denti per il freddo, quasi alle luci dell'alba, raggiungemmo la periferia di Roma.

  Mentre il camioncino dirigeva verso i mercati generali, prendemmo i primi tram per le nostre case.

 

Gianfranco Loffredo

Nella discesa: Io Gianfranco Loffredo, Mimmo Novello, Mario Anniballi ed Andrea Lucarelli

 

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