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FIUME MISAN
20 - 26 - 27 APRILE 2008
Dal vostro inviato.
20, 26 e 27 aprile 2008 – giorni 3, 4 e 5 del mio calendario canoistico coreano
Si cambia fiume. Questo si chiama Misan, nella stagione delle piogge ha delle belle rapide di III e IV. Per ora è un II con passaggi e un paio di rapide continue di III. Mi dicono che è nel circuito internazionale delle gare di rafting. I passaggi più interessanti sono una bella rapida a S con un bel po' di morte da prendere qua e la, un doppio salto con un’imboccatura molto stretta, un altro paio di rapide continue e poi una rapida finale con tre salti uno dopo l’altro. In più diversi punti con delle onde per giocare un po’. Ora, come per gli altri fiumi, l’acqua è poca ma quando il livello salirà, i passaggi interessanti diventeranno molti di più, a occhio e croce. Solito equipaggio-macchina, io e Karl, l’americano con cui ho già condiviso ore e ore a zonzo sulle tangenziali, ma soprattutto la surreale cerimonia sullo Hantan.
Il 20 aprile, domenica, ci dirigiamo vero il fiume Misan, a quasi tre ore di macchina da Seoul, che per noi diventano molte di più, visto che questa volta decidiamo di riuscire a perderci anche uscendo da Seoul. Un paio di giri a caso su e giù per ponti e tangenziali ci fanno perdere la solita oretta. Io continuo a oppormi, anche contro l’evidente utilità, all’acquisto di un navigatore. Quando chiediamo informazioni a una stazione di servizio, ilarità generale. Solite scene. Mi scusi dove è… e dall’altra parte tutti a ridere con le mani davanti alla bocca. Agitazione, nervosismo. I gitanti stranieri con le canoe sul tetto dell’auto mettono allegria. Bene! Grande Onda ci aspetta a una stazione di servizio. Siamo in ritardo di un paio d’ore. Quando arriviamo fa un po’ il broncio, ma un gelato gli fa tornare il sorriso. E’ un burbero dal cuore tenero in fondo.
L’obiettivo e’ la Blue Wave Canoe School, gestita da tale Capitano Kim, allenatore della nazionale coreana di slalom (che temo non conti più di un paio di atleti). Il Capitano, molto amichevole, accoglie gli ospiti stranieri con birra e un pescione secco – tipico snack coreano. In alternativa si sarebbe anche potuto trattare di un polipo o di un calamarone. Sempre secchi e sempre schiacciati tipo sotto una pressa.
Si caricano le canoe sul furgone e si parte per la discesa del fiume. Bel paesaggio di mezza montagna. La primavera avanza e ora il verde spunta in mezzo al giallo e marrone di fine inverno, insieme al lilla delle azalee selvatiche (nome buttato lì a caso, magari sono papaveri, pero sono lilla di sicuro). Ritorniamo alla Blue Wave e alla fine della giornata il Capitano Kim ci prepara una sontuosa grigliata in stile coreano. Brindiamo con quattro bottiglie di birra Moretti che incredibilmente Karl ha trovato in un negozietto sotto casa sua!
Al rientro, solito folle e totalmente scriteriato girovagare sulle tangenziali. Vista la polemica su “andiamo a est” della settimana precedente e intuita la mia preconcetta e insensata avversione al navigatore, questa volta Karl ha portato con se una bussola. Il ragazzo possiede un certo senso dell’umorismo.
26 e 27 aprile, si ritorna sul Misan, visto che l’acqua in altri posti è sempre poca. Cioè meno di quanta ce ne sia qua. Questa volta ci fermiamo tutto il fine settimana. Sulla via dell’andata, la solita colazione. Si va sempre sul pesantuccio: questa volta, zuppa di trippa con un misterioso semigalleggiante parallelepipedo gelatinoso nero. Quasi certamente sangue rappreso. Sempre con un sacco d’aglio e molto piccante. Sempre alle otto del mattino. Questa volta però non affronto da solo al battaglia della colazione. Condivido lo sconcerto con Karl. Ci guardiamo e a gran voce ci auguriamo Goood mooorning!
Dopo la zuppa, però, il caffè. Bene. Sulla discesa del Misan nulla da segnalare a parte, il secondo giorno, un mio goffo tentativo di spostare una roccia a capocciate.
Ma anche questo fine settimana presenta la sua parte di follia, che uno si domanda, ma e’ tutto vero? E’ possibile che IO sia qui?!?
Nella notte tra sabato e domenica, viste le temperature quasi invernali che sono calate sulla Corea in questi giorni, invece di campeggiare, decidiamo di fermarci a dormire in un Min Bak. Sono stanze molto semplici in delle case private. Si condivide la vita di una famiglia coreana, dicono le guide. Bene, condividiamo. Risaliamo una strada di montagna in mezzo ai boschi finché intravediamo, lungo un torrente, una catapecchia con tetto in eternit e, oltre un ponte di travi di legno, una specie di baita. La catapecchia, chiusa su tre lati da pareti fatiscenti di cartonfango e muffalegno, è un ammasso di polvere, ingombra di robe vecchie, ciarpame da soffitta, attrezzi da lavoro, griglie arrugginite, bottiglie di soju vuote. Il tetto in eternit si prolunga oltre queste tre pareti a formare una specie di veranda aperta il cui pavimento è’ costituito da una piattaforma in legno ricoperta di linoleum. Tra le pareti della catapecchia e la piattaforma in legno un passaggio di un paio di metri di fango. Sotto la veranda appendiamo le mute bagnate. Per arrivare al ponte, che oltre il torrente conduce alla baita, senza affondare nel fango, facciamo ogni passo su una specie di viottolo fatto di travi di legno, mattonelle e pezzi di linoleum allineati uno dietro l’altro alla distanza di un passo.
La baita. E’ circondata da un orto-giardino: in pratica un anello di fango intorno alla casa. Su una pedana le giare che conservano il kimchi messo a fermentare. Un'altra pedana con delle sedie dal design del tutto fuori contesto misteriosamente allineate
Da lontano la baita sembrava fatta di tronchi: Karl, dal Colorado già si sentiva a casa. La prateria, le montagne rocciose, gli orsi, Butch Cassidy. Invece, è fatta di mattoni bombati all’esterno che la fanno sembrare, appunto, di tronchi. Un altro tassello agghiacciante. Avrebbe potuto essere peggio però: in fondo sono mattoni e non tronchi di plastica. Ci togliamo le scarpe all’ingresso. Una parete a vetrata affaccia sul torrente che scorre li sotto.
Ci accoglie un tipo che chiamano Il Presidente di Misan. Lo avevamo già visto sfrecciare per queste valli desolate a bordo di una Audi nera con addosso un improbabile vestito bianco con giacca sciallata. Da notare che in Corea nessuno guida macchine straniere, se non chi vuole veramente farsi notare, e i coreani, se si mettono un vestito, è rigorosamente nero. In più, siamo in mezzo alle montagne, a mezzora dal paese più vicino. Solo qualche contadino o anziana signora accucciata a lavorare la terra in mezzo a un campo. Per il resto alberi e montagne. E questo che va in giro a 180 in Audi col vestito bianco. Il Presidente. Pare sia lui il gestore del Min Bak. Ora è in camicia di jeans mezza aperta e braghe della tuta. Snello, faccia spigolosa, fisico atletico, sarà sui sessanta, ma il capello rigorosamente tinto e l’aria di montagna lo fanno apparire più giovane. All’interno della baita su un divano tre signore di mezza età conversano. Che ci fanno in questo posto? Caffè viennese? Alle pareti, pergamene con calligrafia cinese. Il padrone di casa si diletta di calligrafia e poi ci farà pure provare. Bello. Come entriamo, ci apparecchiano un tavolino in mezzo al grande stanzone centrale. Si capisce niente, parlano tutti coreano. Tutti si siedono intorno al tavolo e iniziano a mangiare. Karl ed io, come sempre, non ci tiriamo indietro. Più o meno, gli stessi sapori della colazione, solo che i cibi della campagna puzzano di più. La fermentazione è più decisa, l’aglio più aggressivo. Solito pescione (non secco), tofu, cavolo fermentato, soju e birra. A un certo punto tutti si alzano e sparecchiano. Perché? Le signore, il padrone di casa e alcuni ospiti appena arrivati si trattengono però in casa, mentre noi canoisti andiamo sotto la veranda della catapecchia e ci facciamo una sontuosa grigliata. Quindi il pescione, il tofu e tutto il resto erano solo l’aperitivo. Segue una grigliata infinita. Continua a spuntare carne e carne e carne. Meraviglia. Felicità. Il capo della griglia è Grande Onda. Chiaro. Almeno finché non si rompe le balle e lascia ad altri lo scettro della ciccia.
Poi tutti a dormire. Tutti per terra, alla coreana, in una stanza della baita. Riscaldamento a palla in stile ondol, cioè dal pavimento. Praticamente mi friggo. In più umidità allo zero per cento. La mattina dopo, oltre a bocca disidratata, lingua cisposa, pelle che mi pare di essere la mummia di Similaun, palpebre cementate alla pupilla, oltre a tutto ciò, al risveglio, una visione. Oltre il finestrone della stanzetta in cui abbiamo dormito tutti ammassati, vedo un tizio. Non credo ai miei occhi. Un omino sui sessanta, asciutto, quasi smunto, lineamenti ossuti. Ciabatte di gomma da piscina, pantaloni di una tuta da ginnastica rossa in acetato, maglietta verde militare e fascia bianca legata in testa tipo kamikaze. Sembra uscito da un cartone animato giapponese. Anche nelle movenze nella gestualità nervosa e a scatti. Sembra imprecare. Espressioni di felicità e di disappunto si alternano sul suo volto a una velocità impressionante. E’ li in mezzo al fango con le ciabatte di gomma. In mano ha una mazza da golf. Lo vedo che si guarda attorno, poi si mette in posizione, prende la mira, si molleggia sulle gambe e zac, sferra il colpo. Non gli e’ piaciuto. Disappunto. Ripete. Ora si. Esulta. Movimento perfetto, morbido e coordinato. Vedo solo però tanta terra bagnata volare in aria. Nel frattempo, sveglio Karl e non riesco nemmeno a dirgli qualcosa, gli faccio segno con gli occhi. Mi vede sconvolto e incredulo, non capisce e cerca l’oggetto del mio stupore. Lo vede. Non riesce a dir nulla nemmeno lui. Il golfista si rimette in posizione. Al terzo colpo, una raccapricciante improvvisa consapevolezza. Non ha la pallina. Sta li in mezzo al fango, alle sette di mattina, e far finta di giocare a golf con uno straccio in testa. Nella valle più isolata e sperduta della corea. Ne usciremo vivi? E mentalmente sani? Bisogna fuggire. FUGGIRE. SUBITO.
Invece no, non si può fuggire subito. Prima, bisogna fare colazione. Cristo. Ma io sono più furbo. Mi sono portato pane, nutella, nescafè e marmellata di mammà. Sguscio verso il fiume, e tiro fuori il mio kit di sopravvivenza per la colazione. Felicità. Basta un cenno e Karl mi segue. Dopo un po’ si avvicinano anche i nostri compagni canoisti. Quando offro loro la marmellata sul pane, mica dicono di no, 'sti paraculi... altro che zuppa de trippa!
Richiusi i barattoli mi metto a fare delle piccole riparazioni sulla canoa, finché non sento Raviolo che chiama… tutti a tavola, è pronta la colazione! Non si sfugge.
PS: e il Presidente? E il Golfista? Ma chi sono?
Luca