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HANTAN RIVER
30 MARZO – 13 APRILE 2008
Dal vostro inviato.
Prologo
Li ho stanati, cazzo! Dopo mesi di caccia, costretto a loffie pagaiate in un fiume radioattivo che attraversa una città di 13 milioni di abitanti, ho agganciato un pugno di canoisti fluviali. O meglio loro hanno agganciato me. A ottobre avevo cercato e trovato un brevissimo video di kayak in Corea su You Tube. Avevo scritto un messaggio al tipo che l’aveva caricato. Tipo “Hei amico, parli inglese, mi capisci? Sei coreano? Vivi in Corea? Esitono canoisti fluviali qui? Aiuto, rispondimi, dimmi che non sono solo”. Silenzio. Odissea nello spazio, l’omino con la tuta bianca che si perde alla deriva nel cosmo infinito e muto. Finche un mese fa… un debole segnale dalle remote immensità siderali: una letterina. Soliti tempi di reazione coreani, che ormai ho imparato a conoscere. Sette mesi per scrivere una mail. Per farla breve, dopo contatti informatici, in una tipica serata coreana vengo presentato al gruppo – parentesi, tipica serata coreana significa che intorno a una grigliata abbiamo scolato diverse litrate della grappetta locale - Soju, 25 gradi circa, tutto metanolo, fa malissimo - una volta ridotti al coma etilico, insomma, siamo diventati amici. Sono del gruppo. Che si chiama Yeowool (pronuncia iò-ùl) Kayak Club.
Altra parentesi: del gruppo fanno parte una decina di persone, il che fa circa un quarto dell’intera popolazione canoistica fluviale coreana, che appunto ammonta, largheggiando, a una quarantina di individui. Il mio gruppo di Seoul, due scuole di Kayak piazzate sullo stesso fiume e che si odiano, un altro gruppetto che vive ai piedi di una montagna e un solitario tredicenne, unico canoista di Daegu, città industriale al centro della Corea.
Nel gruppo tutti hanno un soprannome. I più significativi sono due. Grande Onda, il più anziano e dunque quello che decide, vista l’importanza dell’età nella rigida sentitissima gerarchia sociale coreana. Se anche dice una cazzata colossale, nessuno fa obiezioni. Circostanza verificatasi diverse volte nell’organizzazione dei recuperi delle macchine. Ma anche il più glamour e coatto, con muta cerata stagna giallo arancione e capelli permanentati – in corea l’uomo trendy si fa la permanente. Un occhio occidentale non percepisce differenze sostanziali tra un capello coreano permanentato e uno non. Poi c’e’ Raviolo, quello che parla meglio inglese e nei conforti del quale, per aver risposto al mio messaggio, ho eterna gratitudine.
30 marzo 2008 – Giorno 1 del mio calendario canoistico coreano
Una settimana dopo la sbronza sono pronto per la mia prima uscita col gruppo. Mi accorgo che la vita dei canoisti è uguale dovunque. Ci si trova nel solito squallido parcheggio di periferia con le solite facce assonnante. Si carica tutto sul furgone e si parte. Siamo in quattro. Alle otto e mezza, dopo un’oretta di macchina, quello al volante mette la freccia e fa “ci fermiamo a fare colazione”. Se fossi arrivato in Corea ieri, sarei forse cosi ingenuo da pensare “Cappuccino e cornetto?”. Ma non lo sono, quindi so che non sarà cappuccino e cornetto. Resta solo da scoprire che cosa mi toccherà. All’ingresso del ristorante una rassicurante macchinetta automatica per il caffé. Ma nessuno se la fila. Dentro. Mi ripeto, “non sarà cappuccino e cornetto”. Via le scarpe. Sala da pranzo. Ci sediamo per terra al tavolino basso (al solito). Il menu appeso al muro indica tre piatti, ma è scritto in coreano… Di sicuro non c’è scritto cappuccino – cornetto alla crema – maritozzo. La signora arriva e comincia ad imbandire la tavola: i soliti dieci quindici contorni: cavolo fermentato intriso d’aglio e peperoncino, vari pescetti fermentati, verdure lesse piccanti o mescolate a pesci, granchi nel peperoncino, rapa fermentata affogata in brodo d’aglio, ciotolina con spicchi d’aglio, riso. I due piatti principali sono terrificanti, se non altro per l’ora: straccetti di maiale saltati con verdure in salsa di peperoncino e zuppona caldissima e piccantissima a base di funghi, merluzzo, gamberi e granchi. Decisamente non è cappuccino e cornetto. Che tocca fa’… A un certo punto, la solita cazzata che ti ripetono tutti. E’ molto salutare questa cucina. Vabbè. Come sempre la prima regola in questi casi è non tirarsi MAI indietro. E quindi giù di gusto! Solo dopo aver finito la zuppona, conquisto il diritto al caffé. Si riparte. Dopo questa esperienza sono pronto anche a un quinto grado.
Ovviamente di quinti gradi, per fortuna, nemmeno a parlarne. Almeno fino alla stagione delle piogge. Poi si vedrà. Il fiume si chiama Hantan, è al confine con la Corea del Nord, piuttosto largo, con dei bei tratti in ampie gole e altri passaggi con rocce bianche levigate dall’acqua. L’acqua è pochissima e salvo tre passaggi divertenti, si pagaia parecchio. La portata dei fiumi dipende qui principalmente, se non esclusivamente, dalle precipitazioni, cosicché fino alla vera stagione delle piogge, che inizia a giugno, bisogna accontentarsi. Poi, anche dalle foto che ho visto, la situazione si fa seria e i fiumi si alzano di parecchio, la portata e la velocità aumentano, insieme alle difficoltà e, presumibilmente, al divertimento. Durante la discesa Grande Onda resta bloccato due minuti di orologio in appoggio in un rullo, poi va a bagno e finisce cosi la rapida.
13 aprile 2008 – giorno 2 del mio calendario canoistico coreano
Dopo due settimane siamo di nuovo sul fiume, lo stesso fiume, quindi niente di rilevante da raccontare in senso strettamente canoistico, Ma robba grossa comunque amici di pagaia, robba grossa davvero. Mi dicono che c’è un americano che scenderà con noi. Il gruppo si è gia avviato al fiume sabato, mentre io e l’americano andremo su domenica. Il che mi mette al riparo da un’altra colazione. Solito appuntamento mattutino. Lui arriva con l’autobus e mi riconosce facilmente anche se non ci conosciamo. Canoa blu sul tetto dell’auto. Appartiene a una specie rara. Mi dice che viene dal Colorado, ma non parla di fiumi. Quasi sembra che non sappia andare in canoa. Basta poi vederlo in azione per capire come stanno le cose… solo al ritorno, messo alle strette viene fuori che faceva parte del Pro Team Prijon, in America, e andava in giro a fare dimostrazioni e rappresentanza. Poi riesco a farmi dire che fiumi ha fatto e mi dice ridendo un po' di nomi di rapide. A casa li cerco: http://it.youtube.com/watch?v=d_JJZY9ACBc . Si diverte però anche su un fiume con poca acqua, a prendere le morte, a giocare con qualche ondina, a stare semplicemente nel fiume, insomma. Ovviamente gli insegno “questa s’a’ famo morta-morta sercio-sercio”, giusto Tiziana?
Ma la cosa grossa della giornata è un’altra. Quando arriviamo, i nostri compagni sono giù al fiume, indaffarati a sistemare un tavolino, una canoa e delle pagaie. Dalle buste di plastica che hanno con sé spuntano mele e pere. Le pere, però, da questo lato del mondo, sono grosse come un pompelmo e tonde. Le decapitano, cioè ne tagliano via le due calotte agli estremi e le dispongono a tre a tre su dei piatti, sopra il tavolo che hanno piazzato su una roccia proprio sulla sponda del fiume. Ai piedi del tavolo la nuova canoa di Grande Onda. Sopra la canoa un casco e diverse pagaie, tra cui la mia. Sul tavolo c’è anche un bottiglia di Makolli (dolciastro liquore di riso, con devastanti effetti intestinali qualora se ne beva più di una ciotola (infatti si beve in ciotole non in bicchieri) e, appunto, una ciotola vuota. Infine, da una busta, spunta un pescione secco, tipo merluzzo, a cui Grande Onda annoda un drappo bianco, che simboleggia la lunga vita. Cosa simboleggi il pesce nessuno lo sa. Nel frattempo siamo tutti in tenuta da canoa, mute e salvagente. Si comincia. Ma cosa si comincia? La cerimonia di apertura della stagione canoistica del gruppo! Il rito riprende le tradizionali cerimonie propiziatorie di origine confuciana che tutti eseguono un paio di volte all’anno per onorare gli antenati e ringraziare la natura per i raccolti. Ora si e’ diffusa l’abitudine di svolgere queste cerimonie anche quando si inaugura qualcosa, o si inizia un’attività. Per esempio, se si compra una macchina nuova, si fa lo stesso. In garage di fronte alla macchina si allestisce l'altarino e si procede. Ma come si procede? Ecco. Prima tutti insieme ci si inchina per due volte di fronte al tavolino e alla canoa. Stranieri compresi ahimé. La regola è sempre quella, per sopravvivere, MAI tirarsi indietro. Poi, si ripete il tutto singolarmente. Prima tocca a Grande Onda, ovviamente. Io e Karl osserviamo con attenzione perché poi sarà il nostro turno. Eccoci. Siamo in posizione e molto, molto perplessi. Per fortuna, nessuno che ci conosce ci può vedere ora, anche se, all’uso coreano, ognuno dei presenti scatta foto con almeno una macchina fotografica per ogni mano. Ci guardiamo. Pronti. Via. Primo inchino. Secondo inchino. Non è finita. Ci versano del Makolli nella ciotola, ne bevo un sorso io, poi uno Karl, poi ne versiamo un po’ sul tavolo con le offerte (pesce compreso) e sulle pagaie, nonché nella canoa di Grande Onda, che protesta perché dice che gli stiamo riempiendo la canoa di liquore. Infine, quel che resta lo gettiamo nello Hantan, in omaggio allo spirito del fiume. Poi, la stessa cosa la fanno a gruppetti o singolarmente tutti gli altri. Finita la cerimonia, tutti si avventano sull’altarino improvvisato e spazzoliamo le offerte, compreso il Makolli. Il pesce invece Grande Onda se lo lega sulla coda della canoa, e scenderà il fiume in sua compagnia. I miei compagni non sono dei principianti assoluti ma sono sostanzialmente (pipponi?) autodidatti, hanno imparato grazie alla nota determinazione coreana, allo sconsiderato sprezzo del pericolo, al valore nullo che qui riveste la vita del singolo essere umano e ai dvd di Eric Jackson. Sono nella fase in cui vorrebbero iniziare a fare cosette un po' più difficili ma mi sembra che non siano ancora in grado e le cosette più difficili comportano per loro un maggior grado di rischio. Mi pare che le rapide le facciano sostanzialmente da kamikaze. Un grido lanciato nel vento e via. Non si esercitano granché a prendere morte e cose così... però si allenano a fare il cartwheel. Mah. Nelle prime due uscite l’unica corda da lancio presente era la mia. Con Karl ora abbiamo iniziato a fare un discorso sulla sicurezza e cercheremo di organizzare qualche giornata di esercitazioni. Le dispense di Mau attraversano gli oceani!
Al rientro, Karl ed io, che facciamo equipaggio in macchina, passiamo un paio d’ore completamente persi a girovagare sulle tangenziali di Seoul. Come nei migliori film americani, a un certo punto lui mi fa: credo che dovremmo andare a est. Palazzi dovunque, autostrade a 14 corsie, milioni di macchine, aria intrisa di co2… ma viene fuori comunque l’uomo della prateria. Cerchiamo il sole tra torri di cemento di trenta piani, andiamo a est, appoggiamo l’orecchio sul cemento per vedere se ci seguono gli indiani, cancelliamo le tracce sulla pista polverosa per non essere seguiti. Anche stasera ci scalderemo attorno a un fuoco tracannando il solito scaldabudella.
Luca