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HAN RIVER
16 SETTEMBRE 2007
Dal vostro inviato
Cari amici di pagaia, il primo reportage dal vostro inviato in Corea. L’urlo del GCR terrorizza l’Oriente.
Era il 16 settembre, sbarcato alla Corea misteriosa da 18 giorni. In pieno delirio canoistico riesco a tempo di record ad agganciare un gruppo di canoisti locali grazie al compassionevole interessamento di una delle impiegate dell’Istituto Italiano di Cultura (che sarebbe il mio ufficio) che ha preso a cuore la mia condizione di canoista emigrante.
Uno del gruppo dice di parlare inglese. Mi chiama per prendere accordi. Io parlo inglese, lui sbuffa, emette monosillabi, qualche suono in Konglish (Korean/English). Apprezzo lo sforzo. Tanto per essere sicuro, gli scrivo una mail riassumendo gli accordi che credo abbiamo preso al telefono. Non ottengo risposta. Silenzio assenso. Speriamo.
Alle nove di mattina compare un furgone con due canoe davanti al mio albergo. E vai!
Seoul è attraversata dal fiume Han. Il tratto cittadino ovviamente è placido. Ma immenso. Lo attraversano ponti con venti arcate. La città è sterminata. Nel tratto urbano del fiume i ponti sono ventiquattro. Tanta gente, tanta acqua, tanti ponti. Monnezza in quantità corrispondente ma invisibile. Nemmeno puzza dall’acqua. Le puzze ci sono ma di altro genere e in altri luoghi. Tipo i ristoranti.
Arriviamo all’imbarco. Comunicazione a gesti e sorrisi. Sono entusiasti di avere uno straniero che scende con loro. Pare sia il primo occidentale mai avvistato in canoa sul fiume. Valanga di foto in pieno stile giappocoreano. I miei nuovi amici, salvo un paio, sono tutti alle prime armi e con una gran voglia di organizzare e imparare. Sono estremamente gentili, accoglienti e aperti. Quando sanno che sono arrivato da due settimane e già mi sbatto per andare in canoa, si guardano perplessi e mi danno del pazzo.
Dove sono le canoe, a parte le due sul tetto del furgone? Vedo solo grossi zaini. Canoe pieghevoli mi spiegano. A Seoul non c’è spazio, sono in 15 milioni, abitano in condomini di 30 piani uno addosso all’altro. Per le canoe non c’è spazio.
Operazioni di montaggio. Altre foto. Finalmente ci si imbarca. Io ho il privilegio della canoa rigida. Il fiume è di colore giallo, è piovuto parecchio negli ultimi giorni e nel pomeriggio è atteso un tifone. Evviva la sicurezza. Mi dicono siamo tranquilli fino alle due poi non si sa. Sorridono. Bene.
Tecnicamente la pagaiata è ovviamente una passeggiata ma il colpo d’occhio dall’acqua è impressionante. Le dimensioni del fiume, i tratti somatici insoliti dei compagni, il cielo grigio, nessuno che grida “Pipponi!”, i bordi costeggiati da grattacieli (nelle foto non se ne vedono molti), i ponti col treno e la metropolitana che ti passano sulla testa sono comunque un panorama del tutto nuovo e a suo modo affascinante. Blade Runner in canoa.
Scendiamo per diversi chilometri poi una pausa su un prato. Zuppa coreana con spaghetti e soju, una specie di grappetta locale. Riprendiamo la pagaiata. Risaliamo il fiume per tornare al punto di partenza, ma ora le avvisaglie del tifone si fanno sentire. A causa del forte vento contrario, della pioggia e della corrente, il gruppo si sfalda e solo in due riusciamo ad arrivare a destinazione. Gli altri ci attendono disseminati lungo il percorso. Carichiamo la roba e col furgone andiamo a fare il recupero. Recupero nel senso che andiamo a raccattare gli altri che si sono fermati per strada. Troppo soju forse.
Prime considerazioni: Seoul, 15 milioni di abitanti e una cinquantina di praticanti la canoa turistica! Il kayak è ancora uno sport decisamente misterioso. Mentre pagaiamo, la gente guarda, si ferma fotografa, ci interroga. Insomma c’è da parecchio da fare! Unico gravissimo punto nero: al posto della braciolata tocca accontentasi della zuppa.
Prossima missione: uscire dalla città e rintracciare i fluviali veri. So per certo che ce ne sono.
Luca
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Si parte | |
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Tra loro | |