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MARATONA INTERNAZIONALE DELL'ARDECHE
11 NOVEMBRE 2006
Poco più di un mese fa veniamo a sapere della Maratona delle gole dell’Ardeche. Gli ardimentosi e incoscienti Benedetto (lo zio) e Luca (il nipote?) si guardano, e dopo un attimo di silenzio, concludono “Si fa”.
Da uno scantinato emergono alcuni residui d’un tempo che fu: quattro canoe Palazzi. Dopo un breve esame degli scafi, scegliamo le due con meno buchi e le rimettiamo in sesto con abbondanti spalmate di vetroresina e metri di nastro da pacchi. Già si intravede l’alto livello tecnico dell’impresa.
Come assaggio sul mondo delle maratone, partecipiamo, a metà ottobre, a una 20 km sull’Adige. Le Palazzi sopravvivono, noi anche. Siamo pronti per l’Ardeche.
Mercoledì 9 novembre si parte. Imbarchiamo macchina, canoe e canoisti sul traghetto che il giorno dopo ci scarica a Tolone. Giovedì assaggiamo i fluidi francesi, prima con una pagaiata nell’incantevole scenario marino delle Calanques tra Marsiglia e Cassis, poi con una boccia di rosso in compagnia dell’amica Sophie che ci ospita per la notte a Tolone.
Venerdì, la vigilia, arriviamo in Ardeche e ci sistemiamo in campeggio sul fiume. Lo scenario naturale toglie il fiato. Pareti di roccia bianca di qualche centinaio di metri a picco sul fiume. Intorno boschi a perdita d’occhio. La sera prendiamo contatto con il fiume con una breve pagaiata. Iniziamo, nel frattempo, a renderci conto che il nostro ruolo sarà quello dei Pipponi Veri, sia dal punto di vista tecnico, che da quello dell’attrezzatura. Iniziamo a intravedere omini che assomigliano più ad armadi a tre ante che ad esseri umani, canoe di ogni genere, da discesa, olimpiche, singole, doppie, canadesi a sei e nove posti, C1, C2…e tutte nuove, scintillanti, velocissime, ultra leggere. Dove ci giriamo vediamo carbonio e kevlar, salvo quando posiamo lo sguardo sui nostri kayak, che nel frattempo abbiamo ribattezzato, alla francese, Palazzì.
Notte fresca prima della gara…quei nove, dieci gradi che in campeggio fanno proprio bene.
Sabato 11 novembre, il gran giorno. Gli atleti dell’Equipe Palazzì si svegliano completamente incriccati e iniziano a riguadagnare un po’ di mobilità articolare solo dopo una sessione di risveglio muscolare e stretching in calzamaglia. Intorno a noi continuano ad aggirasi armadi dalle sembianze umane e kayak nuovi di pacca. Per nulla intimoriti, e con una fiducia che sconfina nella temerarietà nelle nostre ormai amate Palazzì, ci avviamo all’imbarco, proprio sotto il campeggio. Il colpo d’occhio è impressionante, centinaia di canoe e canoisti affollano le rive e il fiume, una giungla di pagaie. Gli iscritti sono 1800, 18 nazioni rappresentate, le canoe e i kayak in acqua sono 1600.
Ci avviamo verso la nostra linea di partenza, poco più a valle. Le linee di partenza sono cinque: più a valle di tutti, dopo le rapide più impegnative, i C6 e i C9, poi più a monte, la linea dei Top Paddlers (i più armadi di tutti), poi i K2, poi i K1 e infine C1, C2 e varie altre imbarcazioni particolarmente lente come sit on top e kayak da torrente.
La partenza è per tutti alle 11.30. E’ il caos, 1600 kayak che scattano e si contendono la lingua d’acqua principale. Tutti chiedono acqua e tutti investono tutti.
Incontriamo le prime due rapide dopo pochi chilometri. Sono i due passaggi più impegnativi e il gruppone ovviamente non ha avuto il tempo di sgranarsi. Superiamo la prima.
Eccoci in vista della seconda. Un passaggio ad esse da sinistra verso destra con grossi massi al centro che creano belle ondone minacciose e una parete di roccia sulla destra. Guardando quel che succede davanti a me inizio a rendermi conto del casino che regna l’imbocco della rapida: gente che retro pagaia, altri che si traversano, altri già scendono all’indietro in balia della corrente. Con un’accelerazione tanto forsennata quanto disperata riesco a svincolarmi da un groviglio di canoe in cui sono incastrato e riesco ad affrontare il passaggio senza ostacoli. Passo liscio. Il fido compagno Benedetto si è un po’ attardato, ha temporeggiato e ora si trova costretto ad attraversare il fiume da una parte all’altra per imboccare la rapida. Viene investito di fianco dalle onde a da una slavina di Pippon-kayak. Non c’è scampo, il rovesciamento e il bagno sono assicurati. Io sono poco più avanti, non lo vedo più, lo aspetto qualche minuto, ma nel caos generale è difficile scorgere Benedetto che riporta la canoa a riva e immaginando che fosse più avanti mi rimetto in marcia. Il mio compagno riesce a riprendere il fiume solo dopo una mezz’ora e dalla riva vede cose che noi umani…la corrente trascina a valle pagaie solitarie, kayak senza canoista, canoisti senza kayak, omini affranti che riportano in terra scafi sfondati, gente che ha perduto la pagaia che si contende remi portati a riva dalla corrente…
L’equipe Palazzì è spezzata, procediamo in ordine sparso. Al 17esimo km c’è il ristoro, mi fermo, bevo, mangio e finalmente sbuca da dietro la curva il compagno disperso. Da adesso in poi la discesa è tranquilla e ci permette di aumentare un pochino il ritmo e di goderci il panorama che continua a essere stupefacente.
A trecento metri dal traguardo, forse l’inconscia e spietata vendetta del mio compagno (per non averlo atteso dopo la seconda rapida) o un misterioso magnetismo fluviale fanno scontrare le due Palazzì in un abbraccio fatale…per me, che mi rovescio praticamente senza pagaia. Bagno, riva, svuotamento a pochi metri dall’arrivo. Anche questo è Equipe Palazzì. Dopo 3 ore e 25 tagliamo il traguardo.
Non resta che rifocillarsi, girellare tra le centinaia di kayak e canoisti allo sbarco e poi la sera assistere alle premiazioni e partecipare alla festa di chiusura, dove ci rendiamo conto che il livello dei nostri “avversari” è ben più alto di quanto avessimo immaginato. Sfilano sul podio pezzi di squadre nazionali, campioni europei, mondiali, o atleti (cioè, armadi) con piazzamenti a livello internazionale. Non resta che brindare alle nostre Palazzì e pensare alle prossime imprese…
Luca e Benedetto