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BIOENERGETICA

E KAYAK FLUVIALE

 

S.I.A.S. Società Italiana di Analisi Bioenergetica

CORSO BIENNALE DI FORMAZIONE PER OPERATORI PSICO-CORPOREI

E CONDUTTORI DI CLASSI DI ESERCIZI BIOENERGETICI

 

LA BIOENERGETICA NELLA PRATICA SPORTIVA

IL KAYAK FLUVIALE

di Maria Assunta Pontolillo 

Anno 2002

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Il KAYAK D'ACQUA SELVAGGIA

Cos’è l’acqua selvaggia?

E’ un torrente di montagna rumoroso, abbastanza profondo da sostenere una canoa, costellato di sassi, fiancheggiato da alberi, che scende con un alternarsi di rapide e di tratti di acqua calma. E’ anche un fiume che entra in pianura, con molta acqua, con onde enormi, piene di schiuma. Tra questi due estremi vi sono vari tipi di fiumi: fiumi che scorrono, non imbrigliati, fiumi pieni di rapide, fiumi sinuosi e allegri, fiumi arcigni, una serie senza fine di fiumi uno diverso dall’altro. Ma lo sport dell’acqua selvaggia è anche di più. E’ il fiume più colui che lo scende: un cocktail magico.

Con “acqua selvaggia” si traduce l’inglese “wildwater”, o meglio il tedesco “wildwasser” e si vuole indicare insieme tante cose: acqua bianca, rapide, energia e contatto con la natura.

Ogni kayakista sa per esperienza che cos’è la magia dell’acqua selvaggia, e sa anche come sia una cosa difficile da spiegare a parole. La discesa nel fiume ha in sé qualcosa di nuovo: il piacere di essere in un ambiente in cui si è estranei, lo stare in equilibrio sul filo del rasoio, in una situazione che non si controlla mai del tutto, ma che non è mai del tutto fuori del nostro controllo, l’affrontare forze molto più grandi di noi, che non potremo vincere, che vinceremo soltanto, e per poco tempo, quando smetteremo di contrastarle, per diventare parte del fiume.

Il kayak d’acqua selvaggia è un classico sport-avventura impegnativo e potenzialmente anche rischioso. Il neofita scopre presto una cosa: che ci sono dei posti, delle rapide, dove non ci si riesce a fermare – il fiume porta via, e si è obbligati a scendere tutto quel tratto, con le acque del fiume, all’insù, o a testa in giù, dentro la barca o fuori di essa. Si crea una situazione di coinvolgimento totale. Sul fiume decisioni, ostacoli, onde, gorghi vengono l’uno dopo l’altro in una successione mozza-fiato e le reazioni del kayakista devono essere rapide, dinamiche, fluide. E’ vero che l’esperto si ferma qua e là, nelle varie “morte”; tuttavia non si può pianificare al centimetro il proprio percorso. Come il fiume, il kayakista deve essere sciolto e lasciarsi andare.

Cos’altro dire? L’acqua bianca è attraente perché essenzialmente improbabile: sembra difficile, se non impossibile, riuscire a scendere comodamente e sicuramente certe rapide. C’è, in questo sport, un elemento cinestetico, cioè di bellezza che viene attraverso il movimento; è poesia che deriva dal passare attraverso un mezzo mutevole di acqua, aria e spruzzi. Ci sono tutte le qualità dello sport allo stato puro: movimenti agili, movimenti di forza, un complesso di tecniche da padroneggiare e applicare. E’ uno sport in cui bisogna pensare e reagire ed in cui sono importanti la strategia e la reazione immediata; uno sport individuale dove nessun altro può scendere una rapida al posto tuo; ma anche uno sport che sviluppa legami forti perché perfino la nostra vita può dipendere dai nostri compagni – uno sport per l’intera persona.

Ma c’è qualcos’altro. I fiumi sono straordinariamente belli. L’estetica è l’ultimo ingrediente che ci fa parlare di magia dell’acqua selvaggia. Pareti di roccia, valli dal profilo dolce; tutto il paesaggio che scorre lungo le rive del fiume è, visto dal fiume stesso, qualcosa di irripetibile. L’acqua in sé stessa ha migliaia di sorprese! Onde piene di perle, cascate di acqua schiumosa dove si forma l’arcobaleno, cumuli di spaventosa energia bianca, laghetti limpidi che specchiano il cielo, dove ogni colpo di pagaia sembra sacrilego, forme e fantasie liquide che nessun artista oserebbe inventare.

Dietro l’angolo, dietro alla rapida, c’è tutto questo….è l’acqua selvaggia!

 

In questo lavoro vorrei proporre una chiave di lettura dell’attività sportiva che ponga l’attenzione più sul “sentire” che sul “fare” per dare allo sport, agonistico e non, un significato nuovo, un’alternativa a quello che molto spesso viene vissuto come pura prestazione anziché come ascolto di sé.

L’attività sportiva, che naturalmente non si esaurisce in un movimento del corpo, del quale è comunque espressione e rappresentazione, veicola anche messaggi e a volte può essere il momento rivelatore di difficoltà strutturatesi durante lo sviluppo del carattere e quindi dell’Io.

E’ importante, quindi, che la preparazione atletica segua precise regole tecniche, ma lo è altrettanto il tenere in debita considerazione l’unità psico-fisica della persona, cercando nella giusta interazione corpo-mente di giungere al benessere psico-fisico e quindi, più facilmente all’ottimizzazione della prestazione. Pertanto, è fondamentale educare l’atleta alla percezione del proprio sé corporeo aiutandolo a divenire consapevole delle sue proprie potenzialità e capacità ed eventualmente di quelle tensioni emotive che ne ostacolano l’espressione.

La Bioenergetica può essere il facilitatore e il mediatore di tutto questo.

 

LA BIOENERGETICA

La bioenergetica è un modo di comprendere la personalità in termini dei suoi processi energetici. Questi processi, cioè la produzione di energia attraverso la respirazione e il metabolismo e la scarica di energia nel movimento, sono le funzioni basilari della vita. La nostra risposta alle situazioni della vita, infatti, è determinata dalla quantità di energia di cui disponiamo e da come ne facciamo uso.

La bioenergetica è anche una forma di terapia che combina il lavoro con il corpo e con la mente per aiutarci a risolvere i nostri problemi emotivi e a meglio utilizzare il nostro potenziale di provare piacere e gioia di vivere. Una tesi fondamentale della bioenergetica è che il corpo e la mente sono funzionalmente identici: vale a dire, quanto avviene nella mente riflette quanto avviene nel corpo e viceversa: pensare e sentire sono condizionati da fattori energetici. Infatti, è difficile che una persona depressa produca pensieri ottimisti. Questo perché il suo livello di produzione e d’investimento energetico è ridotto. Quando il livello energetico aumenta grazie ad una respirazione più profonda, il movimento comincia ad emergere dal corpo inerme e la persona depressa inizia a venire fuori dalla sua condizione di scarica energica e depressione.

La relazione tra questi tre elementi, corpo, mente e processi energetici, è mostrata nel diagramma di seguito riprodotto..

Questo principio spiega come ogni tipo di stress provoca una tensione muscolare che, se inconsapevole e prolungata nel tempo, può diventare cronica. Le tensioni muscolari croniche, quindi, rappresentano la controparte fisica di conflitti psichici, attraverso di esse i conflitti si strutturano nel corpo sotto forma di restrizione del respiro e limitazione della motilità. Si tratta di tensioni che si sviluppano lentamente, attraverso esperienze traumatiche ripetute della prima infanzia, e si cronicizzano diventando parte inconsapevole della struttura corporea e del modo di essere di ognuno. Si perde pertanto del tutto la consapevolezza del loro significato, del perché si siano sviluppate e del come potersene liberare. Per cui, ognuna di queste tensioni è un “buco” nella nostra capacità di sentire il nostro corpo, quindi di percepire noi stessi. Nella contrazione, infatti, rimane racchiusa l’energia dell’emozione “pericolosa” che ci siamo negati; di conseguenza, non solo non siamo più in grado di agirla (piangendo, urlando, ridendo, pestando i piedi), ma non siamo neppure più capaci di sentirla: non sappiano se siamo tristi o arrabbiati, bisognosi di affetto o umiliati. Non sappiamo chi siamo. Diventa, quindi, necessario alleggerire questa tensione cronica, se si vuole che la persona riacquisti piena vitalità e benessere emotivo. Ne consegue che non basta riportare alla coscienza fattori psichici patologici, ma è necessario intervenire anche sulla struttura muscolare per modificare quella emozionale.

Il lavoro della bioenergetica sul corpo ha quindi lo scopo di aiutare ad entrare in più profondo contatto col proprio corpo, accrescendo le sensazioni in esso; diventare consapevoli delle tensioni muscolari e lavorare sul movimento e sulla respirazione in modo graduale per favorirne il rilascio. Sbloccando così l’energia intrappolata nel corpo e lasciandola fluire in modo più libero ne consegue un senso più grande di vitalità che accresce la capacità di sentire piacere, la motilità ed il benessere ad un livello sia muscolare che emozionale.

Questo lavoro sul corpo si esplica in una sequenza di esercizi che si sviluppano secondo un ciclo di contrazione ed espansione, che è il ciclo naturale dell’energia (pulsione).

Nella fase di contrazione i muscoli su cui si lavora vengono sottoposti a tensione: ed ecco che sovrapponendo una tensione volontaria ad una tensione involontaria (preesistente), il corpo viene stimolato a reagire, rilasciando e liberando (tramite vibrazioni e alti movimenti spontanei) lo stress contenuto in quell’area (scarica).

Dopo aver consentito alla tensione muscolare di scaricarsi, e quindi ai muscoli di rilassarsi, l’energia riprende a circolare liberamente, e le persone possono rientrare in contatto con quelle parti di sé che si erano chiuse alla loro percezione.

Gli esercizi non sono mai svolti in senso di attività meccanica ma sempre solo rispetto al sentire del corpo. Così il fare può sembrare a volte improduttivo, ma questo è un naturale approccio biologico ed energetico nel processo di approfondimento della respirazione e nella liberazione dell’energia bloccata nelle tensioni, con il rispetto di tutte le variazioni individuali dei tempi necessari ad ognuno. A volte i movimenti sono ampi ed attivi, ma la perfezione della loro esecuzione non è mai l’obiettivo. Fondamentale al concetto degli esercizi bioenergetici è che, dove c’è energia libera e libero sentire, vi seguiranno movimenti pieni di grazia, e fondamentale a questa grazia è il lavoro di grounding. Essere grounding significa avere i piedi saldamente piantati sulla terra in un contatto non meccanico ma sentito nel reale scambio energetico tra piedi, gambe e terreno.

 

 

Gli esercizi utilizzati nella psicoterapia dell’Analisi Bioenergetica, spogliati dal supporto analitico, possono essere inseriti all’interno di un allenamento tecnico al fine di migliorare la consapevolezza psicofisica del movimento che il gesto atletico richiede. Il loro utilizzo, funzionale per agevolare la liberazione del movimento bloccato dai vincoli delle tensioni caratteriali dell’atleta, consente l’intervento risolutivo sul sintomo senza dover mettere necessariamente in crisi l’Io. Consente, cioè, di risolvere il problema contingente senza mettere in discussione la sua personalità, il suo modo di essere, in ultima analisi il suo carattere.

Con l’impiego delle tecniche psicocorporee dell’Analisi Bionergetica in campo sportivo e in particolare nella disciplina della canoa-fluviale possiamo individuare vari livelli su cui lavorare: muscolare-posturale, respiratorio, energetico e emozionale, tra loro fortemente relazionati.

Nello specifico, possiamo utilizzare le tecniche relative al:

- lavoro di consapevolizzazione dei blocchi corporei e allentamento delle tensioni muscolari;

- lavoro relativo alla gestione respiratoria ed energetica;

- lavoro per migliorare il grounding;

- lavoro sulle emozioni.

Partendo, quindi, dalla constatazione di fondo che esiste un indissolubile legame tra psiche e soma, che non sono che due aspetti di uno stesso sistema di informazione, si può pensare all’ideazione di un piano di allenamento rivolto non solo alla cura dell’aspetto tecnico ma che proponga una serie di esercizi psico-fisici tesi a sbloccare le tensioni muscolari che costituiscono un limite alla capacità di percezione del nostro corpo. Ogni individuo dispone di energia vitale ma spesso questa viene repressa da ostacoli interiori che portano ad una riduzione della respirazione e alla tensione cronica di importanti gruppi muscolari. Le contrazioni del sistema muscolare, infatti, che allo stesso tempo rappresentano tensioni emozionali irrisolte influenzano il livello energetico della persona e quindi lo stato di vitalità del corpo; tanto più un corpo è irrigidito o in tensione cronica tanto più sarà scarico energeticamente. Pertanto, restituire vitalità ed energia al movimento e alle emozioni significa intervenire attraverso un lavoro mirato ad allentare tali tensioni, riattivando, nello stesso tempo, la respirazione. Una buona e profonda respirazione è uno degli strumenti indispensabili della bioenergetica; la chiave del metabolismo energetico del corpo. L’originalità del metodo consiste nella capacità del soggetto di avvertire le proprie emozioni corporee e di giungere successivamente ad uno stato di consapevole rilassamento. Tale obiettivo offre, una volta superata la problematica che scaturisce dalle tensioni presenti nel nostro corpo, di trasferire tale capacità di risposta, anche ad altre situazioni cui l’individuo può andare incontro nel corso della vita.

Con questa tipologia di allenamento l’atleta scopre che le prestazioni del corpo e della mente, richieste dall’attività motoria praticata, sono paragonabili alle prestazioni che la vita stessa impone giornalmente. L’atleta avendo l’occasione di ascoltarsi e sperimentarsi potrà migliorare non solo la qualità della sua pratica sportiva, ma anche la qualità della sua vita, acquisendo maggiore dimistichezza con le proprie modalità comportamentali e rendendole sempre più funzionali al suo benessere.

Ma cominciamo col prendere in esame il funzionamento del corpo umano impegnato nelle pagaiate e quindi a vedere quali muscoli e articolazioni sono significativamente coinvolti nel gesto atletico specifico. Comunemente - data la posizione seduta del canoista - si pensa che ci siano muscoli più coinvolti rispetto ad altri ma in realtà tutto il corpo è interessato al movimento. Può sembrare, ad esempio, che gli arti inferiori abbiano un compito marginale in quanto compiono un lavoro soprattutto statico di stabilizzazione della posizione spingendo i piedi sugli appositi supporti (puntapiedi) e le ginocchia contro le pareti dello scafo. In realtà il loro lavoro di spinta è molto importante poiché tutto il movimento parte da lì. Ma soprattutto costituiscono il contatto primario con la superficie dell’acqua e sono il mezzo attraverso cui il canoista sviluppa sensibilità ed equilibrio sullo scafo per imparare a gestirlo adattandosi al continuo movimento quale quello che si vive facendosi trascinare dalla corrente del fiume. Essendo quindi in una posizione sospesa sull’acqua e in balia del suo moto è basilare per il canoista sviluppare un buon “grounding” che gli permetta di sapere e poter fronteggiare qualsiasi situazione. Questo concetto peculiare della bioenergetica che indica il processo attraverso il quale una persona si sente radicata alla terra, in contatto con la propria realtà personale e sociale è in sostanza un percorso attraverso il quale si lavorerà per rinforzare ed accrescere nel soggetto il senso di sicurezza. Una persona “grounded” è equilibrata tanto fisicamente quanto psicologicamente quindi sarà calma e disinvolta; tutti i suoi movimenti sono esenti da sforzo e tuttavia sono compiuti con destrezza. Per cui “il primo passo in questa direzione è proprio quello di fare un lavoro importante sulle gambe e sui piedi per dare loro maggiore forza e maggiore sensazione di contatto con il “terreno” tale da mantenerla anche in canoa. Essere “grounded” nel mondo del kayak significa sapersi ascoltare per sapere cosa avviene dentro, intorno e sotto di noi; significa avere una buona consapevolezza di dove si è e di cosa si sta facendo. In sostanza la persona deve essere sempre in grado di autovalutarsi per non perdere il “controllo” del corpo e della mente. Effettuare delle rapide o dei tratti di fiume in preda al panico può portare a delle situazioni molto pericolose. Scendere un fiume comporta molto spesso l’insorgere di reazioni tensive e ansiogene dovute alla paura delle difficoltà. E’ un atteggiamento molto naturale che si manifesta ogni qual volta si affronta qualcosa di più impegnativo del solito, o quando si deve affrontare un percorso sconosciuto. Tutti abbiamo vissuto questa sensazione davanti ad una rapida impetuosa, combattuti tra la paura e la voglia di cimentarsi con la difficoltà. Si vive uno stato d’animo fatto di paura, di timore, di inquietudine, ma nello stesso tempo di desiderio di scoperta, voglia del nuovo e di confronto con se stessi.

La paura delle difficoltà è quindi uno stato d’animo normale e frequente; bisogna tuttavia imparare a riconoscerlo, ponderarlo e valutarlo. Un certo stato di timore ed eccitazione è funzionale per saper riconoscere i propri limiti: limiti di disagio, limiti di sicurezza, limiti tecnici. E il buon senso impone di conoscerli e di rispettarli. D’altra parte possono essere sempre spostati in avanti; tutto sta nel fare e saper fare esperienza di essi. Per crescere e migliorare si deve sempre andare alla ricerca del proprio limite ma con sensibilità e consapevolezza, in modo cauto e avventuroso. Ciò significa che bisogna sperimentarsi continuamente in modo da spingersi al di là delle proprie capacità e dei propri limiti ma non lo si deve fare troppo rapidamente e violentemente poiché si rischia di portare il nostro psicosoma in uno stato di stress, sofferenza e disintegrazione. In sostanza si deve essere in grado di distinguere la sottilissima linea di separazione esistente tra autodistruzione e autocreazione. Il canoista che si spinge più oltre di dove onestamente può arrivare rende la discesa poco stimolante ed eccitante rischiando di trasformare una sana paura in panico, terrore che limiterebbe solo la sua azione favorendo situazioni di pericolo. Quando ci si rende conto che si stanno superando i propri limiti (e lo stato di tensione può essere un segnale) si deve essere consapevoli di ciò, sinceri con se stessi e “trasbordare” il passaggio.

Ma torniamo al lavoro svolto dai muscoli. Il movimento, abbiamo detto, parte dagli arti inferiori e risalendo lungo il corpo vengono sollecitati i muscoli della cintura lombo-addominale che permettono la flessione frontale e laterale del busto, nonché la rotazione e l’estensione dello stesso. Il lavoro più impegnativo è comunque a carico dei muscoli del cingolo scapolare (articolazione tra braccio e busto) e dell’articolazione del gomito, che permettono quel movimento di trazione e spinta controlaterale che è la pagaiata. Anche i muscoli dell’avambraccio sono molto coinvolti nel mantenere una buona presa sulla pagaia nella fase di trazione, mentre in quella di spinta è opportuno estendere le dita, o quantomeno allentare la presa, per permettere un po’ di rilassamento ai muscoli e ai tendini che altrimenti rimarrebbero in tensione statica continua per tempi lunghissimi.

Come descritto, quindi, c’è un considerevole numero di muscoli significativamente impegnato nel pagaiare e l’uso della tecnica bioenergetica in una disciplina sportiva quale la canoa dove, appunto, è richiesto un particolare impegno muscolare può essere un valido ausilio per ottenere rilassamento, scioltezza e armonia nei movimenti.

La canoa fluviale è un’attività molto tecnica che richiede notevoli abilità motorie e soprattutto capacità di scelta istantanea dei tempi, per eseguire i movimenti più appropriati ed “economici” che permettano di risolvere quella determinata situazione. Ovviamente, più il livello di difficoltà aumenta e maggiori e complesse saranno le combinazioni dei movimenti tecnici richiesti. Sviluppare una buona consapevolezza corporea e, quindi, capacità percettiva consentirà di lavorare più facilmente sulla postura dinamica che l’atleta assume nell’esecuzione di specifici movimenti, permettendo anche eventuali interventi di modifica su errate percezioni fino ad arrivare ad una consapevole interiorizzazione del gesto. Trasmettere la tecnica, infatti, non dove significare semplicemente fornire un’immagine da copiare, ma piuttosto porre un obiettivo da raggiungere attraverso un adattamento della motricità del tutto personale.

Ogni individuo è unico quindi diverso da qualsiasi altro e i tempi per apprendere nuovi gesti e abilità motorie sono estremamente diversi da una persona all’altra. Bisogna saper stimolare l’atleta nel modo corretto, mettendolo in condizione di sperimentare e scoprire autonomamente la propria soluzione motoria; ciò lo aiuterà ad essere più cosciente di quello che sta facendo.

L’acqua è un elemento “libero” che si muove naturalmente fra gli ostacoli del fiume, un linguaggio il suo che si deve imparare ad ascoltare e a riconoscere, scoprendo il ritmo ed assecondandone l’umore senza mai contrastarla, se desideriamo muoverci liberamente fuori dai limiti spesso dettati dal nostro modo d’essere e di pensare.

Se cercheremo di vivere le nostre esperienze in questa forma, il corpo sarà più rilassato, riceverà più facilmente e correttamente le informazioni, registrando sensazioni più nitide. Al contrario, un corpo teso, preoccupato, nervoso, non è in condizioni di giocare, quindi non imparerà e non si divertirà.

 

 

CONCLUSIONI

Il mio lavoro termina qui. I tempi ristretti, purtroppo per problemi personali, non mi hanno permesso, per ora, di sviluppare più approfonditamente questo mio interesse. Mi rendo conto che avrei potuto scrivere ancora e, perciò, credo che questo sia soltanto l’inizio di un lavoro che continuerò a sviluppare, proseguendo nella ricerca anche dopo aver terminato il corso.

Mi piacerebbe, ora, concludere con una risposta data da Lowen ad una domanda fatta da un gruppo di allievi Siab accompagnati da Patrizia Moselli ad un seminario da lui condotto il 1° novembre 2002, trovata consultando i loro appunti:

D.: “Quando una persona si sente scissa in sé stessa, sta molto male, cosa può fare?”

R.: “Il Fiume scorre su due livelli, se non fosse così non si muoverebbe. Se tu guardi un albero vedi che l’acqua va giù fino alle radici e su fino alle foglie. Quando non c’è nessuno scorrimento c’è la morte. Questo è vero anche per le pulsazioni, è tutto molto semplice, ogni movimento crea un energia. E’ così quando facciamo lavorare i nostri piedi con il movimento su e giù, è questo che fa scorrere l’energia e quindi la vita. Se vuoi che le cose si muovano fai usare alle persone i piedi e la respirazione”

 

 

BIBLIOGRAFIA

- Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica – Manuale di esercizi pratici di Alexander Lowen e Leslie Lowen Astrolabio

- Corpo Inconscio Emozione: Analisi bioenergetica e sport: un binomio vincente di Marisa Orsini

- dal sito www.msnc.it : Una vita contro lo stress di Monique Mizrahil

- Guida al kayak in acqua selvaggia di Lito Tijada-Flore – Zanichelli

- Il Kayak in sicurezza - Federazione Italiana Canoa Kayak

- RIVISTE: Pagaiando - Canoa News vari numeri

 

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